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E adesso come la mettiamo con la carne?


L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione, massima autorità in materia di studio degli agenti cancerogeni, dopo aver revisionato oltre 800 studi epidemiologici che indagavano l’associazione fra carni rosse e insorgenza di cancro in tutto il mondo, ha inserito le carni rosse e lavorate fra le sostanze che possono causare il cancro.

Nella pubblicazione della rivista scientifica The Lancet Oncology, gli esperti annunciano la catalogazione delle carni rosse lavorate ovvero quelle salate, essiccate, fermentate, affumicate, trattate con conservanti per migliorarne il sapore o la conservazione, fra i cancerogeni certi (ovvero sostanze con un alto rischio di provocare tumore), al pari del fumo o dell'amianto, mentre le carni rosse non lavorate (di manzo, maiale, vitello, agnello, montone, cavallo o capra) come probabilmente cancerogene.

Ma allo stesso tempo lo stesso direttore dello IARC, Christopher Wild, invita ad essere cauti nella scelta di eliminare dalla propria dieta la carne rossa in quanto alimento con indiscusso valore nutrizionale. Pertanto è necessario trovare un equilibrio tra rischi e benefici.

La scelta di un cambiamento alimentare deve passare sempre attraverso la consapevolezza. Pertanto cerchiamo di interpretare senza eccessivi allarmismi quanto apprendiamo dall'Agenzia e di mettere in pratica alcune semplici regole per migliorare il nostro stile di vita attraverso il mangiar buono ma anche il mangiar sano.

Cominciamo evitando di mangiare ogni giorno affettati, wurstel e preparati industriali a base di carne (bistecche pronte, impanate, surgelate, ecc.), già soli 50 grammi al giorno di carni rosse lavorate (comprese quelle di suino) sono ritenuti pericolosi anche se alternati nelle diverse varietà. Sostituiamoli con altri alimenti che forniscono proteine (uova, latticini, pesce, ecc.), comunque di facile e di veloce preparazione, rispettando sempre la regola dell'alternanza.

Diversifichiamo più possibile le nostre scelte alimentari sostituendo i pasti a base di carne con primi piatti a base di legumi (fagioli, ceci, lenticchie, piselli ...) che contribuiscono a fornire proteine, e non solo, al nostro organismo. Riprendiamoci il sano primato della dieta mediterranea in cui prevale il consumo di frutta, verdura e cereali.

Consumiamo carne non più di un paio di volte a settimana, possibilmente scegliendo quella bianca (pollo, coniglio, tacchino, ecc). Quando la acquistiamo, scegliamo prodotti di cui conosciamo la provenienza, possibilmente da filiere corte e locali che spesso garantiscono animali allevati in maniera più rispettosa per il consumatore e per il benessere dell'animale stesso. Se il consumo di carne è moderato gli acquisti mirati, da fornitori selezionati, sono più facili in quanto possiamo fare piccole scorte che riusciamo a conservare nel congelatore di casa (congelare è un ottimo modo per allungare il tempo di vita gli alimenti).

E poi un pensiero ai nostri bambini e ragazzi! Per loro smettiamo di scegliere alimenti (panini, pizze, ecc.) farciti con wurstel, salamini, affettati, ecc. ma abituiamoli ai gusti semplici; molte volte è pura convinzione degli adulti che sia più facile far mangiare ad un bambino un alimento più saporito ed arricchito rispetto ad uno naturale. Non è così! Aiutiamoli a scegliere fin da piccoli gli alimenti meno elaborati possibile, guidiamoli nel prendere corrette abitudini, sarà più facile poi farli diventare adolescenti accorti anche nelle scelte alimentari.

Ricordiamo comunque che il consumo di carne in Italia è tra i più bassi dell’Unione Europea, e per nulla raffrontabile a quello di USA e Sud America.

Nella ricerca della IARC sono sotto accusa in particolare sale e grassi. Ma nel nostro Paese le carni presentano livelli di contenuto in grassi inferiori alla media dei paesi europei ed extraeuropei (un esempio lo è il suino leggero).

Questi fattori sicuramente contribuiscono positivamente sui dati che vengono comunicati dal Comitato Nazionale per la sicurezza alimentare, ovvero che i casi di tumore al colon-retto (ovvero quelli maggiormente implicati nella ricerca della IARC) sono praticamente la metà di quelli che si diagnosticano negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni.

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